Biennale di Venezia, riflessioni postume
• 3 minuti di letturaMi hanno chiesto di buttare giù un breve pensiero sull'esperienza fatta alla Biennale di Venezia. Una cosa veloce da pubblicare in un sito. L'ho fatto, e probabilmente sono riuscito a confezionare una bella paginetta di aria fritta. Chi sono io per sintetizzare un'esperienza del genere? Ed anche volendo farlo, come potevo far entrare descrizioni e pensieri su opere ed artisti in poche righe?
Ora, visto che ho già premesso che trattasi di un pensiero povero, e che probabilmente quello che ho scritto non vuol dire niente, se continuate a leggere sono fatti vostri :). Io vi ho avvertiti.
Copio/incollo il testo che ho inviato:
_I ritmi incalzanti tenuti per far si che fosse possibile visitare la città di Venezia, la mostra fotografica di Kubrick, la mostra su Pier Luigi Nervi ed infine la Biennale non hanno intaccato il piacere della conoscenza. Anzi. Il continuo fagocitare immagini, sensazioni, emozioni è finito per aggiungere qualcosa in più all’esperienza. Questi due giorni, infatti, sono di quelli difficili da digerire. L’esperienza appena trascorsa è di quelle che si metabolizzano con il tempo, che riaffiorano all’improvviso alla memoria regalando nuove emozioni che si sommano a quelle già forti percepite sul momento. Eravamo come affamati portati d’improvviso ad un banchetto. Abbiamo trangugiato tutte le portate che ci si sono poste davanti, ciascuna come fosse stata l’ultima che avremmo mai avuto. I sapori, gli odori, le immagini, le emozioni provate sono state così forti e continue che non possiamo fare a meno di ripensarci ogni giorno, continuandole a gustare, e continuando a capire ogni volta qualcosa di più di quanto abbiamo visto.
Non si possono sintetizzare in poche righe, tutte le esperienze vissute. Ognuna è stata diversa dall’altra, ed ogni opera creava una suggestione unica.
Quello che posso dire cercando di sintetizzare all’estremo, è che un po’ tutte le opere hanno creato in noi una dicotomia tra verità e concetto, tra realtà ed immagine di essa. Il bello di osservare l’arte è proprio questo. Ogni artista mostra quella che è la sua visione della realtà, ed è sempre diversa da quella di un altro. Nel caso dell’architetto questi ha anche il privilegio di non soffermarsi soltanto ad interpretare la realtà, ma anche di plasmarla. Di imporre la sua realtà, condividerla con gli altri e renderla tangibile. Egli crea la sua realtà.
Come nell’arte, anche nell’architettura è innegabile che esistano mode, a volte passeggere, che influenzano l’operato degli artisti. Per questo motivo abbiamo discusso tanto sul peso che le tendenze ricoprono in questi campi e su cosa dovevamo prendere per “buono” e cosa soltanto per “bello”. Alcuni artisti poi hanno fatto di tutto per renderci il lavoro più difficile. Padiglioni come quello dell’Australia erano interamente votati alla suggestione. L’architettura interna al padiglione, i filmati 3d, le luci, i colori, tutto era pensato per proporre una realtà alternativa. Era la loro realtà._ A cosa siamo giunti? Non lo sappiamo ancora. Così come ogni artista proponeva la propria visione di realtà, anche noi la interpretavamo attraverso la nostra (ed anche quella, si sa, non è certo identica per ogni individuo, sia che sia artista oppure no).
Sono stati i due giorni immersi in un caleidoscopio, e ciascuno non potrà far altro che continuare pensare a qual’era la “luce giusta”.
Fico no? Se capite qualcosa di cosa ho scritto spiegatemelo per piacere, perchè non ce l'ho ben chiaro neanch'io :)